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L’impresa familiare: profilo giuridico e caratteristiche

Circolare BFA24.037
Rif. Art. 230 bis c.c- 230-ter c.c..; articolo 5 comma 4 del TUIR- Sentenza della Corte di cassazione 2472 del 10 febbraio 2017.

La circolare odierna rappresenta il primo di due appuntamenti riguardanti l’Impresa familiare. In particolare questo primo intervento vuole riepilogare i principi che regolano questo istituto giuridico e fornisce una sintesi degli attuali orientamenti giurisprudenziali.

L'impresa familiare e la sua costituzione

L’impresa familiare è, dal punto di vista giuridico, un’impresa individuale a tutti gli effetti. Questa nasce come strumento di tutela dei familiari che collaborano nell’attività dell’impresa, nei confronti dell’imprenditore, in mancanza della formalizzazione di un diverso rapporto giuridico. L’impresa familiare può definirsi, ai sensi dell’art. 230- bis c.c. come l’attività economica alla quale collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, e gli affini entro il secondo, qualora non sia configurabile un diverso rapporto.

Uno dei punti più controversi, di notevole importanza anche pratica, riguarda la natura giuridica dell’impresa familiare: se essa sia configurabile quale impresa collettiva o individuale. A questo proposito, secondo la dottrina, è preferibile la teoria dell’impresa individuale: la qualità di imprenditore, cioè viene assunta esclusivamente dal familiare che la esercita nei rapporti esterni.

L’espressione «impresa individuale» tuttavia va intesa in senso relativo perché essenziale è l’esistenza di un rapporto di natura familiare fra i collaboratori, non ha importanza se esso sia costituito da un solo soggetto (come di regola), ovvero da due o più familiari. La conseguenza è che quindi deve escludersi ogni responsabilità dei partecipanti per le obbligazioni assunte nell’esercizio dell’impresa stessa.

I diritti dei familiari che collaborano nell’attività dell’impresa sorgono direttamente dalla loro prestazione di lavoro, anche in mancanza di accordi. Secondo il codice civile, non è necessario, dunque, uno specifico atto costitutivo dell’impresa familiare. Tuttavia,  l’atto costitutivo è però indispensabile al fine di godere dei vantaggi fiscali dell’impresa familiare. Le norme fiscali richiedono, infatti, che la costituzione dell’impresa familiare risulti da atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio anteriore all’inizio del periodo d’imposta.

Nel predetto atto, oltre a stabilire l’opponibilità fiscale rispetto all’Amministrazione finanziaria, vengono formalizzate le generalità dei soggetti partecipanti all’impresa familiare ed i loro vincoli di parentela; inoltre vengono stabilite le quote di partecipazione all’impresa, il soggetto imprenditore deve detenere almeno il 51% delle quote, ma le stesse potranno variare, in funzione del vincolo del 51%, di anno in anno in relazione alla percentuale di lavoro prestato dai collaboratori familiari.

I redditi delle imprese familiari limitatamente al 49% dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, sono imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

Dal punto di vista fiscale, in assenza di atto pubblico o di scrittura privata autenticata che attesti la partecipazione dei familiari dell’imprenditore all’attività d’impresa, non è ravvisabile un’impresa familiare. Di conseguenza, i proventi imputati ai parenti collaboratori, non potendosi ritenere questi contitolari dell’impresa familiare, non sono assimilabili a reddito d’impresa, ma a redditi di puro lavoro.

Familiari e collaboratori

La collaborazione dei familiari all’attività esercitata dall’imprenditore può avvenire con modalità differenti, che vanno dalla partecipazione all’esercizio stesso dell’impresa, mediante la costituzione di una società, al semplice lavoro subordinato.

La partecipazione all’impresa è ammessa solo per i familiari più stretti dell’imprenditore specificatamente indicati dalla legge:

il coniuge dell’imprenditore; l’unito civilmente dell’imprenditore; i parenti dell’imprenditore entro il terzo grado (figli o discendenti, fratelli e sorelle, zii e nipoti; genitori, nonni e bisnonni); affini dell’imprenditore entro il secondo grado (cognati, suoceri, generi e nuore). Anche i minorenni potranno far parte dell’impresa familiare, nel rispetto peraltro della specifica normativa sull’accesso al lavoro del minore.

Il familiare che presta il lavoro nell’impresa o nella famiglia ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.

I collaboratori familiari non rientrano né fra i lavoratori subordinati, né fra le forme di lavoro atipico (salvo il caso in cui sussista un contratto o incarico in tale senso). La loro attività deve essere caratterizzata dalla continuità intesa come “la continuità dell’apporto”, mentre non si esige la continuità della presenza in azienda.

Non è però richiesto il tempo pieno, essendo sufficiente che l’attività (nell’impresa o nella famiglia) rappresenti la prevalente.

La partecipazione

La partecipazione all’impresa è ammessa solo per i familiari più stretti dell’imprenditore, specificamente indicati dalla legge:

  • il coniuge (o unito civilmente);
  • i parenti entro il terzo grado (figli o discendenti, fratelli, zii e nipoti, nonni e bisnonni);
  •  gli affini entro il secondo grado (cognati, suoceri, generi e nuore).

Una disciplina specifica è stata invece introdotta per il convivente di fatto che collabora all’impresa del partner (art. 230-ter c.c.).

La configurabilità della partecipazione all’impresa familiare del coniuge o di uno stretto parente del titolare è correlata all’effettivo e concreto contributo fornito all’organizzazione dell’impresa. Ne consegue che, in caso di impresa familiare costituita in base a specifici accordi (anziché per facta concludentia), deve escludersi il sorgere, a favore delle parti stipulanti, di una presunzione assoluta di collaborazione nell’impresa insuscettibile di prova con- traria. È necessario, invece, che venga fornita la prova:

  •  sia dello svolgimento da parte del partecipante di un’attività di lavoro continuativa (nel senso di attività non saltuaria, ma regolare e costante, anche se non necessariamente a tempo pieno).
  •  sia dell’accrescimento della produttività dell’impresa procurato dal lavoro del partecipante (necessaria per de terminare la quota di partecipazione agli utili e agli incrementi).

Il coniuge che svolga attività di lavoro familiare in favore del titolare di impresa ha diritto alla tutela prevista dall’art. 230 bis cod. civ. (al pari degli altri soggetti indicati dal terzo comma di tale articolo), anche se l’impresa sia esercitata non in forma individuale ma in società di fatto con terzi, in tale ipotesi applicandosi la disciplina di cui al citato art. 230 bis cod. civ. nei limiti della quota societaria.

In tema di impresa familiare, al giudice del lavoro, ex art. 409 c.p.c., compete sia l’accertamento del diritto alla remunerazione dei soggetti indicati dall’art. 230-bis c.c., sia la domanda con la quale un coniuge, previo accertamento della partecipazione all’impresa familiare con l’altro coniuge, chieda, ai sensi della disposizione citata, l’attribuzione di beni o di quote di beni, che assuma acquistati con i proventi dell’impresa stessa, posto che tali pretese trovano titolo nel rapporto di collaborazione personale, continuativa e coordinata, il quale non diversifica le controversie in ragione del fatto che sia stata proposta una domanda di accertamento ovvero di condanna.

Infine nell’impresa familiare possono prestare la loro attività lavorativa anche soggetti diversi da quelli indicati nell’art. 230-bis cod. civ., ma non come partecipanti all’impresa, bensì unicamente come lavoratori subordinati.

I Conviventi

La convivenza è necessaria quando la prestazione lavorativa è espletata dal convivente di fatto, siccome con il divorzio viene meno il matrimonio e il coniuge divorziato non potrà far parte dell’impresa familiare.

Secondo la disposizione in commento, al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.

Non è invece applicabile al convivente di fatto che collabora il diritto di concorrere alle decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi o inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa, né il diritto di prelazione in caso di trasferimento dell’azienda o divisione ereditaria.

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16 Ottobre 2024
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